Maggiori tutele per gli infortuni in itinere in bicicletta: sentenza della Corte di Cassazione n.7313/2016
A pochi giorni di distanza dall’emanazione della Circolare Inail n.14 del 25 marzo 2016 in tema di infortuni in itinere avvenuti a bordo della bicicletta, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è intervenuta nuovamente sul tema per dettare ulteriori disposizioni che ampliano definitivamente l’ambito della tutela per coloro che si recano al lavoro a bordo di tale mezzo privato.
La Suprema Corte ha espresso la massima secondo la quale “la distanza non può essere ritenuta in assoluto un criterio selettivo da solo sufficiente ad individuare la necessità dell’uso del mezzo privato (…). L’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere allora valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore, alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l’utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato, alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto, alla tendenza presente nell’ordinamento e rivolta all’incentivazione dell’uso della bicicletta”. In definitiva, assumono rilievo centrale tutti gli standards comportamentali emergenti nella società civile.
Il caso controverso posto all’attenzione della Corte di Cassazione riguardava l’infortunio di un lavoratore il quale, al termine del proprio turno di lavoro mattiniero, rientrava presso la propria abitazione a bordo della bicicletta dove lo attendeva, peraltro, la suocera alla quale avrebbe dovuto praticare un’iniezione. Durante il tragitto di circa 500 metri, il lavoratore veniva urtato da un motociclo e subiva lesioni.
L’infortunio veniva respinto dall’Inail e in conseguenza di ciò il lavoratore infortunato adiva il Tribunale di Livorno, al fine di ottenere il riconoscimento dell’infortunio e la condanna dell’Istituto ad erogargli le prestazioni di cui all’art.13 d.lgs.38/2000.
A differenza del Tribunale di primo grado che aveva accolto la domanda di parte attrice, la Corte di Appello di Firenze negava la sussistenza del diritto sostenendo che il lavoratore “non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un’iniezione alla suocera per fare ricorso al mezzo privato, e poiché il percorso da coprire, benché non coperto da mezzi pubblici era di soli cinquecento metri, doveva ritenersi che l’uso del mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (7,5), mentre l’utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentasse un aggravamento del rischio rispetto all’andare a piedi, tanto più nel mese di gennaio quando si era verificato l’infortunio”. Del resto, tale impostazione della Corte di Appello, rispecchiava pienamente i precedenti giurisprudenziali (si vedano, ad esempio, Sentt. Cass. Civ. nn. 3363/2003, 11112/2002, 14681/2000).
Avverso detta sentenza il lavoratore soccombete proponeva ricorso per Cassazione, chiedendo la cassazione integrale della sentenza.
La Sezione Lavoro della Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rimesso le parti innanzi al giudice di merito. Ma non solo: ha altresì colto l’occasione per riprendere la normativa in tema di infortuni in itinere, ridefinendone i confini alla luce dei nuovi principi in materia.
Punto di partenza della decisione della Corte deve rinvenirsi senza alcun dubbio nella nuova disciplina dei casi di infortuni in itinere, con particolare riferimento all’uso del velocipede. L’art.5, commi 4 e 5 della l.221/2015 ha previsto l’inserimento agli artt.2 e 210 del Dpr 1124/1965 del seguente periodo: “L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’art.50 d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 e successive modificazioni deve intendersi sempre necessitato”. Tale nuova normativa, già di per sé ha ampliato la tutela a qualsiasi infortunio verificatosi a bordo della bicicletta lungo il percorso casa-lavoro, pur dovendo comunque sussistere gli ulteriori elementi tipici ed indispensabili degli infortuni in itinere quali, ad esempio, l’occasione di lavoro ed il rischio generico aggravato, ed eliminando così il discrimen precedentemente introdotto dalla Circolare Inail del 7 novembre 2011: la circolare riteneva, infatti, che gli infortuni in itinere in bicicletta non dovessero essere provati solo qualora fossero avvenuti su pista ciclabile o zona interdetta al traffico dei veicoli a motore, mentre negli altri casi si sarebbe dovuta provare la necessità del mezzo. Pur trattandosi di una normativa entrata in vigore in epoca successiva al fatto oggetto di pronuncia della Suprema Corte e proprio perché espressione di istanze sociali largamente presenti da tempo nella comunità, essa deve necessariamente essere utilizzata dal giudice in chiave interpretativa al fine di chiarire anche il precetto elastico in vigore precedentemente; d’altro canto la stessa Circolare Inail n.14/2016 ha espressamente previsto, quanto all’efficacia nel tempo, che “le disposizioni di cui alla presente circolare si applicano ai casi futuri nonché alle fattispecie in istruttoria e a quelle per le quali sono in atto controversie amministrative o giudiziarie o, comunque, non prescritte o decise con sentenza passata in giudicato”.
Non solo. Ha rilevato la Corte che in base all’orientamento più recente formatosi in materia, concorrono a formare la disciplina, al pari dei valori costituzionali primari quali la ragionevolezza (art.3 Cost.), la libertà di fissare la propria residenza (art.16 Cost.), le esigenze familiari (art.31 Cost.), la tutela del lavoro in ogni sua forma (art.35 Cost.), la protezione del lavoratore in caso di infortunio (art.38 Cost.), ulteriori standards comportamentali emersi nella società civile, tra i quali rientra certamente quello di favorire l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto. Ritiene la Corte che nell’esame della questione controversa divenga indispensabile “compiere un’attività d’integrazione di norma elastica”, quale deve considerarsi l’art.12 d.lgs.38/2000. Occorre dunque “ricercare i criteri individuati della normalità del percorso e della necessità del mezzo – oltre i quali insorge il rischio elettivo e l’uso non necessitato – facendo ricorso a valori guida dell’ordinamento giuridico, di valore costituzionale, idonei a risolvere il conflitto fra interesse dell’istituto assicuratore a non erogare prestazioni che esulino dalla funzione di copertura dei rischi propri delle attività lavorative e quello del lavoratore di veder non escluse dall’ambito di tali atti, momenti peculiari della sua personalità di uomo-lavoratore in esso coinvolte; quali, la libertà di fissazione della residenza, il rapporto con la comunità familiare, una più intensa tutela previdenziale meglio attagliata alle esigenze della società in cui opera. In un certo contesto socio-economico, poi in relazione a particolari esigenze, naturalmente, più possono essere gli standards che tendono a radicarsi nello stesso fatto, a seconda dei valori che in esso tendono ad affermarsi”.
Rileva da ultimo, ma non di certo per importanza, anche la tendenza presente nel nostro ordinamento (art.1 Codice della Strada) divenuta sempre più pressante “a favorire l’utilizzo della bicicletta in quanto mezzo che riduce costi economici, sociali ed ambientali; fino al punto che sono oramai non pochi i comuni che mettono a disposizione dei cittadini biciclette in modo gratuito per gli spostamenti urbani casa-lavoro, anche di breve durata; e ciò al fine di ottenere benefici non solo di carattere ambientale ma anche per la salute dei cittadini, ed in prospettiva un calo delle spese sanitarie a carico del sistema nazionale”.
Il giudice d’appello ha parametrato la legittimità del ricorso al mezzo privato esclusivamente in relazione al criterio della distanza che separa l’abitazione dal luogo di lavoro, mentre avrebbe dovuto individuare la legittimità del mezzo in questione in relazione ad un criterio di normalità-razionalità che tenga conto degli standards comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell’ordinamento all’interno di un determinato contesto socio-economico. D’altro canto tale principio si rifà al criterio di ragionevolezza contenuto all’interno delle Linee Guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere del 4 maggio 1998, che rappresenta uno dei capisaldi in materia.
La Circolare Inail n.14 del 25 marzo 2016 prima e la sentenza della Corte di Cassazione poi, rientrano all’interno di un più ampio quadro normativo, dal momento che la recente normativa recante “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” si inserisce all’interno del c.d. collegato ambientale alla legge di stabilità per l’anno 2014. Sempre all’interno della legge di stabilità appaiono per la prima volta i “buoni mobilità”, ossia forme di incentivo dedicate a chi dimostra di utilizzare mezzi di trasporto sostenibili per la realizzazione del programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola, casa-lavoro. Già altri paesi europei prevedono incentivi per chi si reca al lavoro a bordo del velocipede: la Francia, ad esempio, ha introdotto nel corso del 2015 un incentivo economico, variabile tra i 21 e i 25 centesimi per chilometro ed è inoltre in fase di preparazione un progetto per diffondere la buona abitudine di andare al lavoro in bicicletta.
Con la modifica del collegato ambientale si è inserita una norma a tutela dell’ambiente all’interno di un testo normativo che ha invece finalità prettamente assicurative e di prevenzione assistendo, in definitiva, ad una variazione della ratio della norma che cederebbe di fronte a valori costituzionali, ritenuti di preminente interesse rispetto alle finalità assicurative.
Risulta necessario domandarsi, alla luce delle considerazioni introdotte dalla pronuncia, se la prossima frontiera di tutela, sempre in un’ottica di protezione e salvaguardia dell’ambiente, sarà data da un’estensione analogica nei confronti di altri mezzi di trasporto a basso impatto ambientale tra i quali rientrano, ad esempio, le auto elettriche, divenendo del tutto irrilevante, anche per questa tipologia di mezzi, il carattere della necessità.
Quel che è certo, è che la normativa sugli infortuni in itinere ha da sempre rappresentato un quadro in continuo mutamento, sottoposto alle continue evoluzioni della società civile e, con essa, della giurisprudenza.
Dott.ssa Valentina Iori
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