DISOCCUPAZIONE E LAVORO OCCASIONALE
La sentenza allegata dispone in merito a fattispecie in cui la ricorrente ha presentato domanda di disoccupazione a seguito della perdita involontaria del lavoro. In conseguenza, l’INPS ha erogato alla ricorrente l’indennità prevista a sostegno del reddito; tuttavia, l’Istituto ha illegittimamente richiesto la restituzione della somma pari ad euro 4.701,06 relativa al periodo dal 15/03/2012 al 7/10/2012 per aver, la ricorrente, svolto attività di lavoro occasionale a progetto nel solo breve periodo marzo – maggio 2012.
Si esamina il caso, evidenziando due fattispecie: la denegata ipotesi per cui l’INPS avrebbe ragione nel sostenere non dovuta la disoccupazione per il lavoro occasionale svolto in pochi giorni dalla ricorrente, e la fattispecie in cui invece tale motivazione è di per sé infondata.
In entrambi i casi l’Istituto non procede legittimamente nella richiesta di recupero della somma, nel secondo caso perché liquidata correttamente, nel primo caso perché non può effettuare ripetizione di indebito di fronte alla buona fede e alla correttezza della ricorrente, e all’errore dell’INPS.
SULLA RIPETIZIONE DI INDEBITO E SULLA BUONA FEDE
Come esposto nei fatti, nel 2011 la ricorrente ha presentato domanda di disoccupazione a seguito della perdita involontaria del lavoro.
In conseguenza, l’INPS ha erogato alla ricorrente l’indennità prevista a sostegno del reddito; tuttavia, l’Istituto ha illegittimamente richiesto la restituzione della somma pari ad euro 4.701,06 relativi al periodo dal 15/03/2012 al 7/10/2012 per aver, la ricorrente, svolto attività di lavoro occasionale a progetto nel solo breve periodo marzo – maggio 2012, come si evince dai fatti.
In conseguenza di ciò, occorre osservare che la richiesta di ripetizione del debito avanzata dall’INPS nei confronti della ricorrente è illegittima in quanto quest’ultima era in buona fede.
In generale trova applicazione il principio di cui all’art. 2033 c.c., secondo il quale ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge e da considerarsi indebita e soggetta a ripetizione. Tuttavia, nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la regola, proprio di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate ma comunque aventi, generalmente, come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento.
Al riguardo la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha rilevato che il canone dell’art. 38 Cost. appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni già consumate in correlazione e nei limiti della loro destinazione.
Se è vero il fatto che tale prestazione non fosse da liquidarsi, l’INPS ha commesso errore a liquidare la disoccupazione, nonostante la segnalazione formalmente effettuata dalla ricorrente, lLa quale, a sua volta, ha ricevuto la prestazione di disoccupazione in buona fede. Ella infatti aveva agito secondo quanto previsto dalla legge al fine di ottenere la prestazione di disoccupazione dovutale ed aveva comunicato le variazioni reddituali che potevano incidere sulla prestazione i disoccupazione.
Come è stato esposto nei fatti, a seguito di richiesta della ricorrente di liquidazione della prestazione di disoccupazione dovutale, l’INPS accoglieva la domanda e rispondeva alla ricorrente che avrebbe provveduto a ripristinarla e che, dal giorno seguente, sarebbe stato effettuato il pagamento dell’indennità nonostante il lavoro occasionale dichiarato dalla ricorrente.
In tale modo, l’INPS ammetteva l’esistenza del debito nei confronti della ricorrente e il diritto della stessa a percepire la disoccupazione riscossa.
Inoltre, nel marzo del 2012 la ricorrente aveva inviato all’INPS una dichiarazione sostitutiva di atto notorio nella quale comunicava l’inizio di una breve attività lavorativa a progetto ed il compenso presunto.
La ricorrente ha effettuato tutte le comunicazioni richieste agendo, quindi, correttamente ed in buona fede. A sua volta l’INPS; nonostante tale dichiarazione, ha comunicato alla ricorrente di liquidare la prestazione di disoccupazione.
Solo dopo oltre tre anni l’Istituto richiede alla ricorrente la restituzione di quanto legittimamente percepito.
Il principio di presunzione di buona fede di colui che riceve una prestazione è confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità: “In tema di indebito oggettivo la buona fede dell’accipiens al momento del pagamento è presunta per principio generale, sicchè grava sul solvens che faccia richiesta di ripetizione dell’indebito l’onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all’atto della ricezione della somma non dovuta” (Cass. Civ. sez. lavoro, 8/05/2013 n. 10815; conforme Corte d’Appello L’Aquila sez. lavoro, 11/12/2014).
Ulteriormente, il concetto di buona fede è insuperabile fintantochè il solvens non fornisca la prova del dubbio che può nascere rispetto alla condotta del soggetto che riceve la prestazione, sul punto la Cassazione ha affermato che: “La prestazione di buona fede di cui all’art. 1147 c.c. non è vinta dall’allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima, essendo invece necessario che l’esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare la suddetta presunzione legale. Ed infatti, non ogni ragione di dubbio può escludere la buona fede, giacchè il dubbio riflette una vasta gamma di stati d’animo che vanno dal mero sospetto alla quasi certezza, donde la necessità di una opportuna discriminazione al fine di stabilire, in relazione ad ogni singolo caso, il grado preciso di conoscenza dubitativa, non potendo un qualsiasi dubbio identificarsi senz’altro con la mala fede” (Cass. Civ. 21/05/2003 n. 7966; conformi Cass. Civ. 22/05/2000 n. 6648, Cas. Civ. 24/12/1991 n. 13920).
SULLO SVOLGIMENTO DI ATTIVITA’ LAVORATIVA DI TIPO OCCASIONALE
La ricorrente era legittimata a ricevere la prestazione di disoccupazione e contestualmente a svolgere l’attività lavorativa a progetto che, peraltro, era stata effettuata per un brevissimo periodo e dalla quale aveva percepito l’importo minimo di euro 1.950,00 totale annuo.
La ricorrente, dal canto suo, aveva adempiuto a tutti gli oneri relativi alle comunicazioni necessarie da effettuare all’INPS, previste dal decreto legge n. 86 del 21/03/1988 convertito con legge n. 160 del 20/05/1988, ed aveva percepito l’importo esiguo di 650,00 euro circa per i mesi indicati lavorati (marzo – maggio 2012).
Pertanto, non può non tenersi conto del fatto che la ricorrente abbia svolto l’attività adempiendo con tempestività, correttezza e lealtà agli obblighi di comunicazione imposti dal suddetto decreto e considerando che l’attività di lavoro autonomo dalla stessa svolta è un’attività occasionale di breve durata e con un reddito estremamente modesto.
Così con la sentenza allegata, il Giudice ha accolto la domanda di parte resistente nulla eccedendo l’INPS che in memoria di costituzione ha dichiarato non dovuta la ripetizione della somma da parte dell’Istituto.
Salve vorrei sapere gli estremi della sentenza e, ove possibile, avere una copia della stessa.
Grazie.
Buongiorno, la sentenza è pubblicata in calce all’articolo. Occorre cliccare su “sentenza”.
Buona giornata
Avv. Paola Soragni
Grazie